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Biodiversità e accordo Cop, potrebbe essere un bel problema

In risposta alla crisi climatica ed ecologica, che sono l’una conseguenza dell’altra, la COP15 di Montreal aveva parlato della creazione del “Global Biodiversity Found”. Che fine ha fatto?

Canada – foto da pixabay – orizzontenergia.it

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Le Nazioni Unite riunite in concistoro votarono a favore, tramite espressione dei singoli rappresentanti dei governi mondiali, del “Global biodiversity Found“, un fondo pensato apposta per la conservazione e riproduzione della biodiversità.
Come per il quindicesimo congresso, anche nel più recente si è votato a favore del fondo “Loss and Damage“. Per il fondo destinato alla biodiversità, proprio il 2023 sarebbe l’anno deputato all’ufficializzazione della pratica mentre il 2025 vedrebbe il fondo operativo. Ma cosa è successo?

Biodiversità e accordo COP: le intenzioni sono davvero delle migliori?

Nazioni unite – foto da pixabay – orizzontenergia.it
Lo scorso 19 dicembre, in Canada si è deciso per l’approvazione del fondo a tutela della conservazione e protezione della biodiversità fortemente minacciata dalla crisi climatica che porta il nostro marchio di fabbrica. In particolare il fondo prevede lo stanziamento di ben 100 miliardi di dollari da stailirsi entro il 2023 per poi diventare operativi, e dunque spendibili, nel 2025.
Quali sono i problemi se ne ve sono? In primo luogo alcuni paesi del sud del globo, come la Repubblica Democratica del Congo, il Brasile e la Malesia, lamentano una manifesta mancanza di trasparenza nella gestione del fondo da parte della Cina che va a sommarsi alla palese reticenza delle potenze del nord del globo.
Insomma a quanto pare lo stanziamento di questo fondo ha davvero poco dell’accordo diplomatico fra più paesi. L’idea di fondo resta buona: chi inquina paga. Tutte quelle attività ad alto danno ambientale come l’uso di fertilizzanti o pesticidi chimici, deforestazione e allevamenti non regolamentati vedranno reindirizzati e ridirezionati gli investimenti proprio per ingrossare le fila del fondo pro-ambiente.
Questo è uno dei meccanismi di gestione del fondo ma, oltre ai problemi sopra citati, se ne aggiunge un terzo. Il 2023 si avvicina e durante queste ultime settimane di negoziati è stata introdotta una nuova appendice all’accordo tramite l’istituzione del Global Biodiversity Framework nell’ambito del quale rientra una davvero poco chiara, ma approvata, mozione: il 30×30.
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Di che si tratta? La mozione parla della volontà di convertire, entro il 2030, il 30% dei territori oceanici e del suolo in aree protette. I rischi celati dietro la proposta sono almeno due entrambi facenti capo alla poca chiarezza delle linee guida del procedimento. Le ONG che si occupano dell’industria della conservazione ambientale sono, guarda caso, tutte situate a nord e nella maggior parte dei casi sono in partnership con multinazionali che di green hanno davvero poco.Parliamo di quei colossi che hanno negli ultimi 3 anni fatto del del greenwashing una vera e propria medaglia al merito. L’industria della conservazione è di fatto in mano a chi di conservazione non conosce e non vuole sapere niente. Di fatto potremmo assistere al più grave esproprio di territori della storia a scopi tutt’altro che filoambientalisti. A parlarci dei rischi effettivi della proprosta 30×30 è la ONG Extinction Rebellion citata da Il Fatto Quotidiano.
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