A oltre 30 anni dalla sua scomparsa, si cercano i resti del giudice Paolo Adinolfi: sotto accusa la Banda della Magliana e quel legame suggestivo con il caso di Emanuela Orlandi.
Ci sono delle novità importanti e impreviste sulla misteriosa scomparsa del giudice Paolo Adinolfi, avvenuta a Roma il 2 luglio 1994, che portò a un lungo e doloroso calvario della sua famiglia alla ricerca della verità. Forse, quella verità potrebbe emergere scavando nei terreni attorno alla Casa del Jazz di Roma, un tempo villa di Enrico Nicoletti, cassiere della Banda della Magliana. Adinolfi, magistrato integerrimo e profondamente religioso, aveva lavorato nella Sezione Fallimentare del Tribunale Civile di Roma.
Qui aveva denunciato corruzione e traffici illeciti legati al cosiddetto “commercio di sentenze”: isolato dai colleghi, ottenne poi il trasferimento alla Corte d’Appello. Il giorno della sparizione uscì per alcune commissioni: venne visto in tribunale, poi alle poste, ma i suoi movimenti successivi risultarono inspiegabili. Le chiavi di casa comparvero misteriosamente nella buca delle lettere della madre, e seguirono telefonate anonime, depistaggi e falsi avvistamenti. Venne anche ritrovata la sua auto.
Pochi giorni dopo sarebbe dovuto andare a Milano per deporre su fatti gravi riguardanti la corruzione nella magistratura e nei Servizi Segreti, il che alimentò il sospetto di un omicidio orchestrato da ambienti criminali e istituzionali. Nonostante queste tesi, emerse peraltro in più di un’occasione, si è sempre parlato di allontanamento volontario del giudice, la cui memoria è stata in gran parte dimenticata dalle istituzioni.
Non si è mai arresa, invece, la sua famiglia, che da sempre continua a chiedere giustizia per un uomo scomparso “nel nulla”, probabilmente perché aveva scoperto troppo. Da questa mattina, unità cinofile e tecnici della polizia scientifica starebbero cercando i suoi resti, proprio dove oggi sorge la Casa del Jazz, nella Capitale. Oggi simbolo della rinascita culturale romana, fu confiscata a Nicoletti e trasformata nel 2005 in un centro pubblico dedicato alla musica e alla memoria civile.
La pista che porta alla Banda della Magliana e in particolare a Enrico Nicoletti emerge perché Paolo Adinolfi aveva seguito importanti casi nella sezione fallimentare del tribunale di Roma, tra cui i fallimenti Fiscom e Ambra Assicurazioni, che coinvolgevano proprio il cassiere del sodalizio criminale. Nel 1996 il faccendiere Francesco Elmo aveva sostenuto che il magistrato fosse stato ucciso da uomini della Banda della Magliana.
Il movente? Paolo Adinolfi stava per rivelare informazioni sui legami tra ambienti deviati dei servizi segreti e società fantasma immobiliari. Anche il pm Carlo Nocerino aveva sostenuto che il collega gli avrebbe voluto fare delle confidenze importanti. Il “suggestivo” collegamento col caso Orlandi viene ricordato da Roberto Fagiolo nel libro “Come svanì Emanuela”: le vicende, scrive, “condividono lo stesso luogo in cui vengono lasciati due messaggi anonimi, una sorta di cassetta postale multiuso”.