Agricoltura sostenibile: come ripensare i modi di produzione

L’agricoltura sostenibile si impone oggi come nuovo metodo di produzione di beni alimentari frutto della terra. La sostenibilità inizia dal rispetto per le risorse del territorio.

Agricoltura sostenibilità mele
Mele (Foto di FelixMittermeier da Pixabay)

Con l’agettivo sostenibile si intende oggi caratterizzare ogni attività che non vada a gravare con le proprie operazioni sulla salute dell’ambiente e del pianeta. Tutte quelle attività, in buona sostanza, che sono sostenibili in termini di impatto ambientale.

La ferita più vistosa a carico dell’ambiente è inflitta dalle emissioni di gas e sostanze nocive per l’atmosfera sostenute dalle filiere di una produzione industriale tutt’altro che sostenibile. Lo sfruttamento delle risorse territoriali perpetrato da tecnologie per la produzione seriale di beni ha contribuito enormemente alla crisi dell’ambiente del XXI° secolo.

Agricoltura sostenibile: i primi passi verso il cambiamento

Agricoltura sostenibilità spighe
Grano (Foto di kangbch da Pixabay)

Che la nostra sia una società massificata è ben noto. Che il fabbisogno e la domanda di mercato siano proporzionali alla densità demografica del territorio è innegabile. Tuttavia intercorre un grande abisso fra la produzione industriale di un bene che guardi alla tutela dell’ambiente e la produzione seriale totalmente incurante della salute territoriale.

Il tema è controverso e certamente complesso. La crisi del nostro secolo ci costringe però a prendere sul serio temi come la diversificazione energetica e la sostenibilità dei sistemi produttivi. Il cambiamento climatico presenta lo scotto di anni e anni di incuria ambientale corroborata da un meccanismo di produzione di beni cieco e inconsapevole, quello del tardo capitalismo.

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Il passaggio alle energie rinnovabili e il conseguente abbandono dei combustibili fossili rappresenta un cambiamento epocale che richiederà imponenti sforzi. I risultati saranno visibili nella migliore delle ipotesi nel lunghissimo termine. La pandemia ci ha mostrato quanto l’operato umano sia invasivo nei riguardi della natura e dell’ambiente. Oltre a ciò ha mostrato quanto un potere legislativo ben organizzato e diretto all’esecutivo possa fare la differenza.

L’agricoltura ha dovuto chiaramente adeguare i propri ritmi a quelli dell’aggressiva domanda di mercato propria del capitalismo. In una parola? L’agricoltura ha dovuto provvedere all’approvvigionamento dei supermercati del mondo. Il primo problema sorge a partire dall’andamento delle stagioni. Non tutti i prodotti della terra sono disponibili tanto in inverno quanto in estate, autunno e primavera.

La soluzione? Fertilizzanti chimici, OGM e monoculture. I fertilizzanti chimici incentivano una specifica specie vegetale a “dare di più” attarverso l’introduzione esterna di componenti sulla pianta o nel terreno. L’impatto di una simile operazione presenta conseguenze gravi anche a livello di inquinamento delle falde acquifere ipogee.

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La monocultura, che è il metodo di coltivazione attualmente più diffuso, promuove ugualmente un ciclo di produzione vegetale innaturale, votato all’idustria. In natura le specie vegetali non crescono infatti a blocchi. Le colture naturali non sono mai mono-specie. Questo tipo di coltura mette esemplari della stessa specie in competizione fra loro poichè necessitano dei medesimi nutrienti e sali per il sostenamento.

Cosa si intende allora con agricoluta sostenibile? Si intende un tipo di agricoltura rispettosa verso il lavoratore, le risorse del territorio e il consumatore. Un tipo di agricoltura quindi che consideri per organizzare le proprie filiere produttive parametri come biodiversità, fertilità del suolo e condizioni del lavoratore. Il rispetto per le risorse naturali sarebbe la conditio sine qua non.

Parliamo quindi di agricoltura biologica. Un tipo di agricoltura cioè che non introduca sostanze chimiche nel terreno di attuazione e che non sfrutti le risorse quali suolo, acqua e aria, contemplando una soglia di sfruttamento. Le aziende agricole biologiche esistenti non si servono di sostanze chimiche di sintesi come diserbanti, anticrittogamici, insetticidi e pesticidi.

Un tipo particolare di agricoltura alleata della sostenibilità è quella biodinamica. Introdotta ed elaborata dal filosofo austriaco Rudolf Steiner nel 1924, tutela la capacità autonoma delle piante di regolare il proprio ciclo produttivo. La base è lo studio delle leggi degli ecosistemi e delle leggi cosmiche capaci di attivare naturalmente la vita nel suolo (come le fasi lunari). Sulle colture non si utilizzano sostanze chimiche bensì dosi omeopatiche di preparati e decotti naturali.

C’è poi la Permacoltura. Divenuta in seguito “permacultura” per opera di alcuni editori italiani che sostenevano l’impianto filosofico di questa pratica agricola, la permacultura è stata ideata da Bruce Charles e Bill Mollison nei primi anni ’90. La permacultura promuove la coltivazione d’insieme di più specie diverse, la biodiversità, e lo fa incentivando la promozione di nuove strutture e ambienti adatti alla coltura.

La bioarchitettura, l‘economia e l’ecologia sono le macroaree che si intrecciano saldamente sotto il suo ombrello. La permacultura vuole progettare e gestire i paesaggi antropizzati in modo da consentire la tutela degli ecosistemi e insieme la soddisfazione dei bisogni della popolazione. Impresa ardua ma possibile. Ci sono già in varie zone d’Italia e del mondo esempi fattivi di questa tecnica agricola.

I tempi sono maturi per ripensare i sistemi di produzione legati all’agricoltura e a tutti gli altri ambiti dell’industria. Sperequazione e sfruttamento sono paradgimi obsoleti che ad oggi devono lasciare spazio a quelli di sostenibilità ed economia circolare.