Siccità, una regione italiana ha arginato il problema: scopriamo in che modo

Una regione d’Italia sembra essere riuscita nell’arduo compito di tenere a bada il fenomeno della siccità. La gestione idrica è in mano ad un’unica autorità.

Siccità Sardegna bandiera
Bandiera della Sardegna (Foto di Claudio Tuccio da Pixabay)

PER TUTTI GLI ALTRI AGGIORNAMENTI SEGUICI SU INSTAGRAM

In Italia la morsa della siccità ha iniziato a mietere le prime vittime partendo dai fiumi del nord sino a scendere man mano nel centro della penisola. Il Po e il Tevere sono improvvisamente divenuti degli scavi archeologici a cielo aperto e sono forse gli archeologi gli unici a beneficiare dell’emergenza.

Una regione italiana giura però di esserci riuscita: la Sardegna ha allentanto le maglie della siccità. La gestione del sistema idrico dal 2006 è di competenza regionale, non più quindi in mano ai singoli consorzi locali. Capiamo meglio la situazione.

Siccità: la Sardegna è l’oasi felice del mezzogiorno italiano

Siccità Sardegna cagliari
Capoluogo sardo (Foto di piviso da Pixabay)

L’isola ha da sempre avuto a che fare con il problema della siccità, molto più che il resto delle regioni d’Italia. Nell’ultimo secolo sono state difatti adottate misure fra le più variegate. La costruzione di dighe propedeutiche alla creazione di bacini artificiali è la soluzione che è andata per la maggiore.

In Sardegna ci sono 1,8 miliardi di metri cubi d’acqua contenuti in bacini idrici artificiali. Le dighe sul territorio sono 37 e tutta l’acqua è ripartita fra bacini, canali e impianti di pompaggio. Come si spiega questa massiccia presenza di interventi artificiali sulla gestione delle risorse idriche della città?

Semplice, il 74% delle forniture complessive regionali di acqua è sostenuto direttamente da questo dedalo di canali, dighe e bacini d’acqua. In sostanza la Sardegna ha dovuto ricorrere a questi interventi su larga scala per la conformazione del suo territorio. L’apporto idrico a carico delle falde acquifere ipogee è irrisorio, la rete artificiale deve restare funzionale.

POTREBBE INTERESSARTI ANCHE: Crisi alimentare, la situazione è insostenibile: i cibi che non si trovano più

Tuttavia non basta un sistema idrico efficiente a combattere il cambiamento climatico. La Sardegna come il resto d’Italia non è esente dall’emergenza. Già in passato, nella seconda metà degli anni 90′, venne richiesto l’intervento diretto della Francia per ripristinare il livello dell’acqua dell’acquedotto di Cagliari.

L’intervento prevedeva l’invio di navi cisterna. Nei mesi estivi dei primi anni 2000 non era insolito che venisse interrotta la fornitura di acqua potabile. Ma veniamo all’oggi: la Sardegna non sembra accusare i colpi dell’emergenza inedita che sta interessando il nostro paese, anzi.

I laghi artificiali della Sardegna sono stracolmi, più colmi che mai, nei rispetti della situazione emergenziale. A fine giugno il livello di riempimento dei bacini si attestava al 78%, quasi il totale della capienza. Neppure la consueta orda di turisti ha sortito conseguenze sulla disponibilità d’acqua potabile.

La Sardegna, anzi, sta meglio dell’anno scorso. Gli agricoltori non hanno avuti problemi ed è stata garantita a tutti un’equa distribuzione dell’acqua. Com’è possibile? Mentre nella foce del Po risale l’acqua salata del mare, in Sardegna  potrebbero farsi il bagno nell’acqua potabile centinaia di turisti, per esagerare.

C’è forse una nube fantozziana sull’isola di cui neppure i meteorologi più istruiti hanno contezza? Certo che no, il fatto è che in Sardegna la gestione del sistema idrico è affidata interamente alla regione, ad un’amministrazione centralizzata chee ha tolto il monopolio ai consorzi locali.

Molte regioni italiane guardano con curiosità a questo nuovo modello di gestione introdotto nel 2003 e poi approvato nel 2006. La Sardegna prima di allora aveva un sistema di amministrazione dell’acqua analogo a quello di altre regioni italiane, basato, cioè, sulla spartizione di bacini e acquedotti fra i consorzi locali del territorio.

POTREBBE INTERESSARTI ANCHE: Debito ecologico, di cosa si tratta e perché il mondo ha esaurito le risorse

Questo sitema rendeva impossibile monitorare la situazione gestionale complessiva del sistema idrico della regione. La legge regionale n.ro 19 approvata nel 2006 revocò le concessioni particolari a carico dei singoli consorzi per sportarle sotto l’unico ombrello dell’Autorità di bacino, un ente pubblico di nuova istituzione.

L’autorità è composta da due organi, un organo amministrativo ed uno esecutivo. Il primo si occupa della delineazione degli obiettivi generali, il secondo attua concretamente sulla rete idrica gli interventi sulla base delle direttive precedentemente individuate.

I consorzi non sono spariti, hanno minori poteri e le loro richieste sono esaudite o meno dall’autorità di cui sopra. L’autorità di bacino si occupa in modo primario di monitorare il tasso di riempimento dei laghi, in questo modo si possono prevenire situazioni problematiche come la dispersione idrica.

Questo nuovo modello di gestione consente anche di programmare opere di manutenzione con grande anticipo soprattutto per gli acquedotti sardi che sono datati: alcuni risalgono a più di 50 anni fa. Nonostante queste opere di efficientamento il fattore cambiamento climatico resta l’unica imprevedibile incognita.

Neppure gli strumenti ingegneristici più raffinati possono infatti prevedere e prevedere come i cambiamenti in atto modificheranno le necessità edilizie. Non è cioè possibile prevedere il cambiamento delle serie idrologiche, cioè il tasso di precipitazioni raggruppate, per esempio, in un certo periodo.

Questo introduce un fattore di instabilità sulla gestione delle dighe e delle infrastrutture. Quanto dovrà essere grande una diga in base alle previsioni sulle quantità d’acqua per anno, è una proporzione ormai difficilmente calcolabile. La Sardegna tuttavia sta reagendo bene all’emergenza, che sia da esempio per il resto d’Italia.