Catastrofe di Baia Mare: dopo Chernobyl il peggior disastro ambientale in Europa

Catastrofe di Baia Mare: 21 anni fa, in Romania, accadeva l’impensato. Il 30 gennaio del 2000 migliaia di metri cubi di metalli pesanti hanno devastato l’ecosistema della zona riversandosi nelle acque.

Catastrofe Romania Danubio
Bacino di decantazione (Foto di Erich Westendarp da Pixabay)

21 anni fa accadeva l’impensato. Siamo in Romania, a Baia Mare, e stiamo per assistere alla peggiore catastrofe ambientale dell’Europa orientale dopo Chernobyl. La catastrofe coinvolse diversi corsi d’acqua e bacini idrici.

Il corso d’acqua del Săsar, il fiume Lapuș, il Somes, affluente del Tibisco, il Tibisco e il Danubio furono investiti da 300.000 metri cubi di sostanze minerarie come il cianuro di sodio. Analizziamo nel dettaglio l’accaduto.

Catastrofe di Baia Mare: la Cherbobyl dei corsi d’acqua in Romania

Catastrofe Romania intossicazione
Pesce avvelenato da agenti chimici (Foto di Bruno /Germany da Pixabay)

A nor-ovest del territorio geografico della Romania si estende la città di Baia Mare. Siamo nelle ultime giornate di gennaio dell’appena battezzato anno 2000 e da 23 ore piogge scroscianti si abbattono sulla città. A Baia Mare è stanziata una miniera per l’estrazione dell’oro. I materiali di scarto prodotti dall’estrazione sono piombo, metalli pesanti e cianuro di sodio, e vengono sapientemente contenuti da una diga.

La diga è stata progettata per contenere il bacino di decantazione dei materiali tossici ed evitare che si disperdano nell’ambiente circostante. L’impianto estrattivo appartiene per metà alla società australiana Aurul SA, per l’altra alla società statale romena Remin SA. L’incipit della storia lascia già intravedere il triste epilogo.

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Nella notte del 30 gennaio la diga decide di cedere all’imponente mole d’acqua piovuta dal cielo lasciando scoperta una breccia sulla propria superficie. Il fenomeno che determinò la rottura della diga venne definito come “sifonamento“. Il fenomeno catastrofico avviene in presenza di un suolo incapace di opporsi al rapido innalzamento di liquidi.

Questo determinò fratture profonde e superficiali nella struttura di contimento per via delle infitrazioni d’acqua. Le avverse condizioni climatiche favorirono sicuramente il disastro. Nel fatto non meno di 300.000 metri cubi di sostanze tossiche vennero riversate nei corsi d’acqua della zona.

La contaminazione arrivò alle acque del fiume Tibisco in Ungheria e proseguì sino alle acque del villaggio Bozanta Mare. I veleni raggiunsero il Mar Nero seminando morte nei corsi d’acqua menzionati. Più di 1.400 tonnellate di pesce venne raccolto morto. Il verdetto emesso dall’allora Commissario per l’ambiente in comunicazione coi governi di Ungheria, Romania e Jugoslavia, dichiarò morti persino i più piccoli batteri dei corsi d’acqua.

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Il danno ambientale fu di dimensioni apocalittiche, fu il secondo danno per gravità dopo il disastro di Chernobyl del 1986. Le misure di contenimento del danno consistettero nell’immissione nell’acqua di ipoclorito di sodio, un agente chimico in grado di ossidare e rendere innocui gli altri elementi.

Le indagini condotte sulla struttura di contenimento dichiararono le compagnie minerarie colpevoli di trascuratezza nei controlli e sancirono l‘inadeguatezza del progetto di costruzione del sistema di decantazione. Le condizioni meteo vennero definite certamente avverse ma non eccezionali. Quella di Baia Mari è un’altra triste testimonianza della tracotanza dell’uomo nei confronti della natura e dello sfruttamento incondizionato del territorio da lui esercitato.